Da circa 10 anni a questa parte, assistiamo alla lenta ed inesorabile conquista dei nostri tradizionali spazi di relazione sociale in favore di quella che viene genericamente definita la rivoluzione "social" operata da Internet: Facebook, Instagram, Whatsapp sono solo alcuni degli strumenti a disposizione di cui ormai l'umanità sembra non poter più fare a meno.
In realtà, come dimostrato da casi come lo scandalo Cambridge Analytica seguito dalla più dettagliata indagine condotta dal parlamento inglese, più che di strumenti di socializzazione sarebbe corretto parlare di sistemi di alta profilazione a scopo commerciale.
Una riflessione del genere richiederebbe però spazi e capacità ben superiori di quelli qui a disposizione, dunque approfitterei dello spunto iniziale per puntare i riflettori su uno dei fenomeni più sotterranei dell'universo "social": vorrei parlarvi del COWORKING.
Nel lontano 2005, un ragazzo californiano di nome Brad Neuberg lavorava per una startup, ma era piuttosto scontento della sua vita perchè quel lavoro gli impediva di portare avanti lo sviluppo di alcuni progetti personali open-source (ossia progetti a sorgente aperta, cioè modificabili da chiunque sia in grado e desideroso di contribuire) in cui credeva molto. Si fece quindi coraggio e lasciò il lavoro da dipendente, inseguendo il sogno di realizzare un suo spazio lavorativo in cui poter programmare e condividere lo sviluppo dei suoi progetti.
Parlando della sua idea alla sua amica Elana Auerbach, quest'ultima gli propose di attrezzare parte degli spazi di un suo centro massaggi (lo Spiral Muse) ad area di lavoro condivisa. Insieme stabilirono anche che le eccedenze oltre i 300$ mensili derivanti dall’utilizzo degli spazi condivisi sarebbero rimaste a Brad.
Sembra solo l'ennesima sceneggiatura da film sul sogno americano, con il tipico bravo ragazzo che lascia un lavoro probabilmente ben retribuito per inseguire i suoi ideali. Eppure il fenomeno che ha portato all'esistenza di circa 550 coworking ufficialmente censiti solo in Italia è partito proprio così: riciclando uno spazio inusato in un centro massaggi.
Messa la storia da parte, la domanda iniziale è però ancora senza risposta: sotto che punto di vista il coworking sarebbe "social"?
Torniamo ancora un momento sulle parole di Brad, che sul suo stesso sito riporta:
"There were other proto-ideas that had a coworking like aspect before such as artist colonies, journalist newsrooms, and rent-a-office spaces, but none of them had the open community aspect of coworking"
Ossia "esistevano da sempre delle proto-strutture che incorporavano alcuni aspetti tipici del coworking come le colonie artistiche, le sale stampa dei giornalisti o gli spazi in affitto uso ufficio, ma nessuno di questi includeva il concetto di comunità aperta"
Condividere una stanza attrezzata con arredamento e connessione non è sufficiente a definire uno spazio come coworking: per Brad la chiave di volta doveva essere un nuovo modo di intendere i rapporti umani in base a modi, tempi, costi e flussi del lavoro; lo spazio spazio privato dove operare chiusi in sè stessi doveva trasformarsi in area vocata allo scambio di idee, servizi, esperienze e competenze, diventando soprattutto un luogo di incontro, un posto per creare sinergie e fare networking, oltre che la soluzione strutturalmente perfetta per professionisti freelance senza un posto di lavoro fisso.
Ecco dunque la risposta al quesito di cui sopra, offerta provocatoriamente sotto forma di controdomanda: alla luce di quanto esposto, è più "social" un coworking o un portale che cataloga i rapporti su base algoritmica?
Fino a qualche tempo fa il nostro ufficio era un piccolo locale di una manciata di metri quadri nella parte vecchia di Anguillara. Dato il nostro core-business - lo sviluppo di piattaforme informatiche personalizzate - uno spazio del genere era l’ideale: tutto quello di cui avevamo bisogno era poter piazzare le nostre postazioni in uno spazio comune, dotato di connessione, bagno e macchina del caffè.
Tutto bene fino a quando, spinti dalla continua esigenza di crescere tipica di chi lavora in proprio, abbiamo avvertito l'esigenza di evolverci in qualcosa di più ampio, aprendoci a nuove soluzioni capaci non solo di esprimere le nostre capacità professionali ma anche di diffondere cultura digitale e scambiare conoscenze, facendo rete con altri professionisti.
Siamo quindi usciti dal nostro guscio nel centro storico, ristrutturando un locale 5 volte più grande del necessario, riservandoci una piccola porzione come area di sviluppo interna ed attrezzando tutto il resto con diverse postazioni di lavoro extra, una sala formazione, un area relax, una sala riunioni e un paio di stanze più appartate.
In altre parole, seguendo inconsapevolmente le orme di Brad, abbiamo reintepretato il suo sogno realizzando il primo coworking dell’area sabatina.
Scettici? Curiosi? i nostri spazi sono pronti, venite voi stessi a valutare, a parlarci delle vostre esigenze, dei vostri progetti, del vostro lavoro: il caffè lo offriamo noi.
...più social di così!
La storia del coworking, sul sito ufficiale di Brad Neuberg:
http://codinginparadise.org/ebooks/html/blog/start_of_coworking.html